È un gran bel romanzo questo di Michele Barbera, scritto bene, di ampio respiro, con una coralità di voci che si intrecciano alla perfezione nella struttura della storia. Non mi sorprende che abbia vinto qualche buon premio. (Il testamento di Vantò”, Aulino Editore, pagg.300 euro 15.00). Lo scenario è tutto siciliano, i personaggi palpitanti e poveri di spirito ruotano attorno alla figura superba di Vantò, il protagonista, che si staglia nitida come un gigante attorniato da pigmei. Vantò è un puro, un poeta, un uomo fuori dal coro.
Gli altri sono esseri umani, dai volti oscuri, trasformisti e arrivisti, con le loro piccole ambizioni, con le miserie proprie dell’umanità, Michele Barbera ha infarcito il suo romanzo di situazioni grottesche, con una scrittura raffinata ed estremamente fruibile.
È un romanzo tutto siciliano questo ma non c’è la vecchia Sicilia stereotipata, perennemente afflitta dalla mafia e dall’indolenza ma piuttosto una Sicilia brulicante di piccoli intrighi e interessi di bottega, dove l’autore trova anche la maniera di toccare temi sociali importanti quali la tolleranza e l’integrazione razziale. Un invito a riflettere e a prendere coscienza sulla meschinità dei nostri sentimenti. Credo che l’influenza benefica della lettura di Pirandello in questo romanzo sia evidente, così come la costante tendenza a strappare la maschera beffarda che copre ipocrisie e finte buone intenzioni. I protagonisti sono davvero tanti e tutti interagiscono con sapiente fluidità, destinati a lasciare un’impronta forte nel lettore. Alla fine Michele Barbera li condanna a fare i conti con se stessi, con i loro fallimenti e la loro nudità.